ITALIA MIRACOLATA NEL DOPOGUERRA
Devastato dal 2° conflitto mondiale, il Paese si riprende e conquista il benessere.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l'Italia fu protagonista di un record di crescita nella produzione nazionale tale da far parlare di "miracolo economico". L'apice dello sviluppo di questo trend positivo fu raggiunto tra il 1958 e il 1963.
Ciò nonostante il fenomeno si riferisca a un evento principalmente economico, esso ebbe una forte ripercussione sulla vita degli Italiani che in pochi anni cambiò radicalmente, in positivo o in negativo e portò nel nostro Paese un livello di progresso e benessere mai conosciuto nei periodi precedenti.
I fattori che determinarono tale svolta sono molteplici e da ricercarsi in ambiti differenti.
Favorito anche dalla creazione del Mercato Comune Europeo a cui l'Italia aderì nel 1957.
Fu importante il ruolo svolto dallo Stato. Infatti finanziò la costruzione di un gran numero di infrastrutture, essenziali per lo sviluppo economico del Paese, tramite stanziamenti statali e prestiti a tasso agevolato che ammontarono a più di 714 miliardi di lire;anche la Banca d'Italia mantenne un tasso di sconto estremamente favorevole per le nuove industrie italiane che permisero un più facile accumulo di capitali, al fine di agevolare gli investimenti.
Nel 1959 Antonio Segni, Presidente della Repubblica di quel periodo,in un discorso tenuto nel Consiglio dei Ministri, sottolineò l'importanza dei lavori pubblici che rappresentavano l'unico rimedio possibile alla crisi congiunturale e alla disoccupazione.

Alla base del nuovo sistema economico italiano vi furono quindi: la crescita della domanda interna ed esterna, la capacità di adattare la produzione alla domanda futura, i cospicui investimenti pubblici e privati, l' aumento della produttività e la stabilità dei prezzi.
L'anno del Boom Economico viene considerato il 1958 ma è ancora presto una serie di preoccupazioni manifestate da Amendola e dallo stesso Togliatti.
La creazione del Mercato Comune Europeo, l'alto e costante tasso di disoccupazione, gli imminenti licenziamenti su larga scala, gli scioperi nazionali rappresentavano degli ostacoli enormi, tali da rendere impossibile quello che pochi anni dopo realmente si verificò.
Una delle conseguenze negative dello sviluppo economico italiano fu senza dubbio l'incremento del divario tra il Nord e il Sud. Il Sud aveva un'industria scarsamente sviluppata e una tecnologia arretrata, la produttività del lavoro era molto bassa e un'alta percentuale della popolazione era dedita all'agricoltura.
Al risanamento dell'economica del Sud contribuisce anche la Cassa del Mezzogiorno, nata con la legge dell'ottobre 1950. L'operato della Cassa del Mezzogiorno fu però un parziale fallimento:
oltre a realizzare immensi insediamenti industriali, chiamati "cattedrali nel deserto", nelle grandi città del Sud
non fu in grado di utilizzare e formare l'abbondante manodopera locale e creare una rete di piccole e medie imprese di fornitura, in modo da evitare che le grandi "cattedrali" si trovassero isolate quando avevano bisogno di servizi o prodotti esterni alla loro impresa.
A pagarne le conseguenze, ovviamente, fu la popolazione del Sud, che tra il 1951 1974 dovette abbandonare in massa le proprie case in cerca di fortuna al Nord.
Negli anni del miracolo economico aumenta notevolmente l'emigrazione.
Il vertce di questo fenomeno si verifica negli anni '55-'63; di cui venticinque milioni di Italiani decidono di emigrare.

Le mete erano le città del centro-nord Italia, soprattutto Milano, Torino, Genova, oppure quelle del nord Europa; infatti, dopo la crescita industriale che coinvolse anche il resto degli Stati europei, Svizzera, Belgio e Germania divennero meta di molti nostri connazionali.

Alla base di questo fenomeno vi sono diversi fattori tra cui la necessità di maggiore denaro e di un lavoro stabile, il fascino delle nuove metropoli del Nord. Molti di questi manovali e operai acquisirono in quegli anni un'esperienza tale da permetter loro di diventare in seguito imprenditori nei vari settori in cui avevano fatto esperienza lavorativa. Durante questo periodo gli anziani, che erano rimasti nelle province del meridione, continuarono a lavorare la terra, e i giovani si trasferirono spesso nei vicini centri urbani, dove c'era la possibilità di trovare un lavoro sufficientemente remunerativo.
In quel periodo era ancora in vigore la legge fascista del 1939 sull’emigrazione, che prevedeva il trasferimento in un altro comune solo se si era in possesso di un contratto di lavoro.
La grande mobilità di quegli anni non era solo a carattere definitivo, ma anche giornaliero. Infatti ogni giorno un gran numero di pendolari giungeva nelle metropoli dai paesi limitrofi.
Il cospicuo movimento migratorio non poteva non creare ampi e diversi sconvolgimenti a livello sociale. Infatti molti problemi si crearono per gran parte della gente immigrata dal Sud. Per gli emigranti era anche difficile adattarsi alla vita di città, estremamente diversa da quella a cui erano abituati. Tutte queste difficoltà spesso ebbero delle ripercussioni negative sul loro inasprimento nel posto di lavoro e determinarono una certa insofferenza in questa gente nei confronti della società, che veniva additata come la causa dei loro problemi.

In questi anni contemporaneamente allo sviluppo dell’industria si verifica una diminuzione dell’importanza del settore agricolo infatti in meno di dieci anni quasi tre milioni di occupati nelle campagne si trasferiscono nelle città, determinando così la fine di quei mondi rurali che caratterizzavano il Paese.

Senza dubbio il miracolo economico colpì anche il settore agricolo permettendo un suo rapido ampliamento. Gli investimenti statali, che nel 1960 costituivano il 73% dei fondi, ebbero un ruolo fondamentale infatti Fanfani, Ministro dell’Agricoltura, disse infatti che l’unico modo di impostare le condizioni per uno stato moderno era quello di incentivare e sviluppare il settore agricolo. In quest’ottica va considerata la legge del 1948 per la formazione della piccola proprietà contadina, che a tale scopo proponeva agevolazioni fiscali, agevolazioni creditizie, mutui bancari con il concorso dello Stato. In questo periodo venne presentato e attuato anche il “piano decennale” del 1952, il quale prevedeva prestiti per l’acquisto di macchine agricole, ponendo le basi per il processo di meccanizzazione agricola che in rapido tempo coinvolse tutte le fasi di lavorazione.
Una delle più gravi conseguenze dello sviluppo italiano e della crescita incontrollata delle città fu la speculazione edilizia. Il mancato rispetto delle norme sull’edilizia e dei piani regolatori cittadini determinavano un profondo cambiamento: l’Italia da Paese rurale e contadino divenne una distesa di grandi sobborghi di cemento. Inevitabilmente parte di costa, piccoli villaggi, lagune, boschi vennero trasformati in centri abitati o centri turistici per soddisfare la crescente domanda di nuove case e servizi per la villeggiatura.
Così nel periodo tra il 1953 e il 1963 fu spesso caratterizzato da conflitti di potere tra le autorità municipali e gli speculatori edili, che spesse volte sfociavano in corruzione o clientelismo.
Tra il 1958 e il 1963, anni di massima crescita economica, il PIL crebbe addirittura del 6,3%.

La struttura produttiva italiana si caratterizzò per il fenomeno chiamato “dualismo”, che consisteva in un’ampia sfasatura e livello di crescita tra mercato interno ed esterno. Infatti l’Italia, nonostante presentasse un vantaggio competitivo sulla produzione interna, basata sui settori tradizionali ad altro coefficiente di lavoro, la domanda estera dei paesi ricchi e industrializzati premeva per prodotti sempre nuovi dove, invece, i fattori produttivi maggiormente usati erano il capitale e la tecnologia.

L’Italia cercò di sfruttare questo dinamismo di idee e di capitali, riuscendo ampiamente ad imporsi nel campo degli elettrodomestici, dell’automobilismo e delle manifatture; infatti in questi anni nascono le grandi industrie italiane la cui produttività aumentava progressivamente grazie alle nuove tecnologie da loro utilizzate. Fiat, Zanussi, Candy, Olivetti, sono solo degli esempi del passaggio di un’Italia fondamentalmente agricola ad un Paese dove l’industria ere il settore maggiormente produttivo.

L’alta tecnologia impiegata nei processi produttivi permise alle imprese di autofinanziarsi più facilmente, perché non era necessario assumere manodopera; inoltre la stabilità dei prezzi portò a un relativo contenimento dei salari, a un sempre maggior investimento produttivo e a una crescita dei consumi. Nonostante questa situazione positiva, portasse il Paese verso un benessere sempre maggiore, gli squilibri non mancarono. La crescita della domanda estera conferì un’importanza eccessiva alla produzione di beni di consumo anche di lusso, a scapito invece degli investimenti in infrastrutture.

I beni primari risultavano proporzionalmente più costosi rispetto a quelli secondari, proprio perché la volontà di emulare le ricche società europee aveva causato un salto troppo brusco per un Paese ancora provinciale e contadino, dove spesso l’auto era un necessario status-symbol e i servizi igienici solo una comodità di pochi.
Gli esempi di industrie legate al boom sono stati limitati al Nord Italia; questo perché il Sud, a causa del già noto divario industriale, riuscì ad avvertire qualche impulso solo nel 1957.
Nel 57 venne approvata la legge che obbligava le aziende a partecipazione statale a indirizzare nelle regioni meridionali il 60 per cento dei loro investimenti, al fine di creare nuove aree industriali.
La FIAT, società già nata nel 1915, riuscì ad instaurare un sistema di produzione a costi decrescenti che dipendeva da un massimo sfruttamento degli impianti, dall’allargamento del mercato interno e da una graduale liberalizzazione degli scambi. Essa fu in grado di imporsi a livello internazionale, diventando competitiva alla pari di altre imprese europee.
La Fiat, asse portante del modello di sviluppo caratteristico del miracolo economico italiano degli anni ’60, perché aveva esteso la sua presenza all’estero sino a diventare un gruppo multinazionale.
Così l’Olivetti, il cui fondatore, Adriano Olivetti, sviluppo un piano aziendale di produzione per rettificatrici, macchine multiple e speciali, impianti di lavorazione automatizzati.

Nata tra il 1946 e il 1947, l’Olivetti, nel 1958, riusciva a soddisfare con ottimi risultati, tecnici e organizzativi, una domanda sempre crescente di macchine da scrivere e di calcolo.
Lo sviluppo industriale che si verificò in Italia fu sorprendente e contribuì a cambiare l’opinione pubblica mondiale, che era abituata a considerare gli Italiani come europei di secondo livello; questo soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale.

I consumi aumentano con una rapidità mai vista e le possibilità finanziarie delle famiglie erano tali da permettersi un’alimentazione sana e ricca, vistiti, un’abitazione e perfino l’automobile. Quest’ultima è sicuramente, assieme alla televisione, ciò che più rappresenta la nuova società del tempo e il simbolo del boom.
In molte case italiane erano presenti gli elettrodomestici di ultima generazione. phon, orologio, frigorifero, stufette elettriche, frullatori, lavatrici, che cambiarono le abitudini degli Italiani.
Sicuramente la “novità” più significativa di questi anni è la televisione, che in pochissimo tempo invase gran parte delle case degli Italiani, diventando sempre più indispensabile.
Per quanto concerne i ceti professionali, si verificò un aumento dei laureati anche presso le grandi università straniere che poi diventarono i dirigenti delle varie industrie italiane. Aumentarono anche gli ingegneri, gli architetti, i designers, gli esperti nelle pubbliche relazioni: tutti professionisti che cercavano di soddisfare il nascente gusto artistico e culturale degli italiani.

Cala anche il numero delle vocazioni sacerdotali e spesso il clero si trova sempre più in difficoltà a interpretare e a integrarsi con la popolazione.